17 settembre 2008
Giro del Rio Mescola (parziale) : Gesso - Monte Verro - Casetta e ritorno
ORE 2.30
Pomeriggio visita e pediluvio a Castel del Rio

Il Diario di Laura

Mercoledì 18 sett ‘08
Percorso                vagabondaggio nella valle del Rio Mescola – Castel del Rio
Partecipanti             Cate, Carla, Iso, Alba, Regina, Laura, Patti, Sandro, Massimo
Durata                 due ore e 55 minuti – che culo, mi sono salvata per miracolo,
                      
 perché  l’ortopedico mi ha proibito di fare passeggiate di tre ore!!! Tempo                 anche troppo bello  - nel senso che si sudava, nonostante la stagione avanzata

 Alle  nove e un quarto all’uscita dell’autostrada di Castel S: Pietro, per incontrarci con Iso che fa le cure termali. Patti, Iso e Massimo schizzano via a mettere la macchina in un parcheggio lì vicino; ma dopo poco ecco che ritorna con la sua Massimo , che è il più sveglio e si è reso conto che una seconda macchina ci è necessaria.
 Sandro è lì tutto avviluppato nelle cartine e, quando gli chiediamo dove si va, dice che non lo sa. Speriamo bene.
Arriviamo a Dozza, ma senza entrarvi. Prendiamo una strada in salita, arriviamo a un crinale e poi facciamo dietro front. Noi della  seconda macchina non sapremo mai perché. Torniamo a scendere, e percorriamo la Val Sellustra,  attraverso un paesaggio che ci è familiare, quello delle calancate organizzate da Enzo. Ricominciamo a salire. Attraversiamo prati punteggiati da una gran quantità di mucche chianine(in realtà è razza romagnola – ndr) che brucano pazientemente l’erba secca e, mentre passiamo, facciamo un rapido conto di quante bistecche se ne possono ricavare.

 Parcheggiamo in una posizione sopraelevata, da dove si domina una vista molto ampia di bellissimi calanchi che sembran fatti di seta cangiante dai colori tenui , in cui predominano il rosa e il grigio – azzurro.

 Alle dieci e mezzo inizia la passeggiata. Alba è tutta sbracciata e scollata, qualcuno dovrebbe dirle che l’estate è finita. E comunque dovrebbe capirlo da sola, guardando me e Carla che abbiamo il giubbino.

Per un bel tratto seguiamo una larga carrareccia bordata di rovi  pieni di more passite,senza un filo di succo, disdegnate perfino dagli uccelli.

Isa non c’è perché è inciampata e, nel nobile tentativo di salvare il cellulare che aveva in mano, è caduta sul naso, che adesso è tutto tamponato e steccato.

 Le mando un messaggio dicendole quanto ci manca, e lei risponde  promettendo che presto potremo vedere quel che resta di lei.

 Prendiamo un sentiero il cui unico segnale sembra fatto di fresco. E’ tutto punteggiato di crochi bianco – azzurri, una bellezza; però  è ingombro di erbacce e di rovi che continuano ad allungare  i rami per cercare di fermarci e quando si restringe a una striscia di terra dall’aspetto friabile  che sprofonda con una pendenza del 70% - forse un po’ meno, ma mi piace creare un po’ di pathos – e sulla destra dirupa giù pericolosamente, e Alba dice che lei non va più avanti, Sandro decide di tornare indietro, tanto ormai si è rassegnato all’idea che si porta dietro il Cottolengo.

Ritorniamo alla carrareccia e ripercorriamo la strada dell’andata. Intanto il sole si è incattivito, e si suda. A un certo momento vediamo un albero gigantesco che proietta una bellissima ombra, e ci sembra l’ideale per fermarci a mangiare, dato che è l’una.

 Ma quando saremo lì capiremo che all’ombra fa troppo freddo, e ci siederemo al sole. Massimo non si è portato dietro niente da mangiare – nessuno gli aveva detto che da un pezzo non andiamo più al ristorante, che se lo avesse saputo magari non veniva.

 Però gli diamo qualcosa noi, e poi ci sono le crescentine – che Sandro si ostina a chiamare “ gnocche”, non so perché - che sono rimaste da ieri sera, quando abbiamo festeggiato i 60 anni di Anna M al Centro Sociale. Sandro si è portato dietro un ottimo Nero di Avola, di cui berrò la parte mia e quella di Patti, per finirlo poi quando, a forza di stare sotto il sole cocente, è diventato brulè.

 La storia d’amore di Campana e dell’Aleramo ci ha molto colpito, e Regina si è portata dietro un libro con le lettere che si scambiarono. Ne leggo a voce alta una molto appassionata  di Sibilla, e Patti mi rimprovera perché non gli ho mai detto parole così. Sì, volevo vederlo, se lo apostrofavo con “ Dino, Dino, Dino”.  Poi continua Carla a leggere, e tutti ascoltiamo in religioso silenzio.

 Descrivendo il paesaggio, Campana usa spesso la parola “ velluto “. Ma perché lui può e io no? 

Ho una gran sete e l’acqua scarseggia, chi poteva immaginare che avrebbe fatto ancora così caldo? Ciononostante Patti me ne consuma metà bottiglietta per fare un acquerello. La prossima volta mi scelgo uno che dipinga ad olio. Torniamo alle macchine e ci dirigiamo verso Castel del Rio. Attraversato il Santerno , il paesaggio non è più brullo, ma di un bel verde smagliante. Arrivati a Castel del Rio ci prendiamo chinotti e gelati, poi ci avviamo verso il ponte a schiena d’asino.

 Arrivati al fiume, che si allarga in una pozza calma, verde e trasparente, piena di pesci grandi e piccolissimi, quasi tutti si levano le scarpe e mettono i piedi a bagno. Patti è la prima volta che viene qui,  ne è incantato e ne approfitta per rimproverarmi di non avercelo portato  prima.

 Sandro dice che sta diventando autista. Faccia pure, a noi non importa se scarrozza la gente in giro, l’importante e che non diventi autistico, che non si richiuda in se stesso lasciandoci fuori.

Ci avviamo   sul ponte e, vedendo arrivare una macchina, corriamo su  sperando che quando arriva alla sommità rimanga lì a basculare. Ma no, è una macchina alta e passa senza problemi.

 Al ritorno Sandro prende una di quelle scorciatoie che gli piacciono tanto perché allungano il percorso. Noi ce ne accorgiamo, ma non ce ne lamentiamo perché ci siamo ormai abituati. A casa alle sette.